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12/05/13

Un partito destinato a morire fin dalla nascita

Si dice che tutti prima o poi passeremo a miglior vita. "Ogni cosa ha un inizio ed una sua fine", "Nulla è per sempre". Si, certo, è ovvio. Niente dura infinitamente, nemmeno i partiti, figuriamoci in Italia. Quello che però si spera quando si crea un partito è che duri quantomeno per riuscire a governare un pò, soprattutto se il partito in questione dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) contare sui voti di quasi quattro decimi del Paese.

Il Partito Democratico era nato sotto i migliori auspici. Nell'Ottobre 2007, furono oltre 3.5 milioni di elettori a partecipare alle primarie interne al partito, che videro primeggiare di gran lunga Walter Veltroni.
Nessuno quel giorno poteva certo immaginare che quella nomina fosse più una croce che una fortuna: nei successivi sei anni i "leader" del Partito Democratico caddero ad uno ad uno, come foglie in autunno.
Veltroni, Prodi, Franceschini, Bersani, e mettendo dentro pure gente influente come Fassino, Bindi, Marini, D'Alema, Amato... nessuno di questi riuscì ad alzare il suo status grazie all'esperienza nel Partito Democratico. Al contrario, tutti quanti, oggi, sono visti come complici di Berlusconi e del PDL nello sfascio del Paese, nonostante nessuno di questi, ad eccezione di Prodi, riuscì mai a governare.
Ma il "Mortadella" ha rimediato giusto nelle scorse settimane, mettendosi alla pari con i suoi colleghi di partito, rimediando una clamorosa figuraccia alle ultime elezioni per il Presidente della Repubblica.

Ma qual è stato il vero motivo di questo crollo verticale continuo? Com'è possibile che una forza politica che poteva contare probabilmente sulla maggioranza del Paese alla sua nascita, si ritrova costantemente a perdere, rimediare figure barbine, umiliato, deriso e adesso praticamente morto?
Diciamo la verità: il Partito Democratico non ha mai avuto una sua IDENTITA'. L'unica cosa su cui i suoi militanti sono d'accordo è l'essere "democratici, europeisti, progressisti", oltre che l'immancabile "contro Berlusconi" (ma adesso nemmeno quello, vero Renzi? vero Letta?).
Questa mancanza d'identità è data dal fatto che il Partito Democratico è un'accozzaglia di partiti più o meno piccoli, di tendenze e ideali completamente diversi, talvolta addirittura opposti. La "colpa" di questo miscuglio è proprio di Romano Prodi, allora Presidente del Consiglio, che inaugurò il suo governo nel 2006 con il multi-inciucione con chiunque si trovasse a tiro, il tutto solo per potergli garantire di avere quei 2000-3000 voti in più di Berlusconi e di poter formare un governo
Governo che però durò a malapena due anni, sempre sulla soglia della sfiducia, corroso, minacciato e messo sotto scacco da qualsiasi piccolo partitino. Ma d'altronde, come si poteva anche solo minimamente pensare di poter assicurare un governo stabile al Paese mettendo insieme gente di centrosinistra dell'Ulivo e dei DS, ex democristiani, comunisti,  radicali, verdi, socialisti, liberali, senza contare Di Pietro e Mastella?
Da qui nacque il Partito Democratico, o meglio, sotto questi "indirizzi", ovviamente non si intende che nel Partito Democratico confluirono tutti i partiti sopracitati. Ma è comunque vero che all'interno della forza politica di.... (sinistra?, centrosinistra?, centro?) si sono avvicendati sempre uomini provenienti da diversi orientamenti politici.
L'ultima riprova di ciò l'abbiamo avuta alle ultime elezioni nazionali. Dalla nascita del Governo Monti fino alla rielezione di Napolitano al Quirinale, il Partito Democratico ha praticamente cercato di stringere patti, alleanze, "inciuci", con TUTTI. Inizialmente ci fu il grande amore con Monti, di stampo chiaramente liberale, e Casini, puro democristiano di razza, senza dimenticare che a quel governo partecipò pure il rivale di sempre (a parole), Silvio Berlusconi. Successivamente, quando gli italiani cominciarono ad avercela a morte con Monti ed il suo governo, per la crescente pressione fiscale imposta ai cittadini (ma su cui il PD è sempre stato fermamente d'accordo, basta che a fare il lavoro sporco fosse qualcun altro), Monti non andò più bene, e venne insultato, deriso per il suo essere "professore" e trattato come un acerrimo nemico, esattamente la stessa sorte che toccò, nuovamente, al PDL. Le attenzioni di Bersani e co. si rivolsero quindi a SEL, partito di sinistra, sebbene non estrema. A dire il vero Bersani tentò fino all'ultimo di mettere dentro anche Casini, ma si ritrovò di fronte Vendola, fermo nelle sue intenzioni di non mischiare i democristiani nel già confuso calderone di centrosinistra, forse memore della figuraccia rimediata dal Governo Prodi nel biennio 2006-2008. Ma non bastò neanche questo: come detto prima già dentro il PD confluiva gente dagli orientamenti più disparati. L'esempio più lampante è rappresentato dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, famoso per le sue aperture a Berlusconi e politico che di sicuro non si può definire di "sinistra" e nemmeno di "centrosinistra". Insieme a lui l'eterno Massimo D'Alema, forse il maggior responsabile del "tradimento" a Pierluigi Bersani.
Ma prima di arrivare alla fine, ci fu ancora tempo per un altro paio di inciuci per il PD. Si cominciò un secondo dopo dell'ufficialità del risultato delle ultime elezioni politiche, Bersani riuscì nell'impresa di perdere quasi 15 punti percentuali in tre mesi e le elezioni, nel complesso. Elezioni già vinte, che videro resuscitare, per l'ennesima volta, un Silvio Berlusconi e un PDL quasi rassegnati appena un giorno prima, ed emergere il Movimento 5 Stelle di Grillo. Il primo inciucio fu provato proprio con Grillo ed i suoi soldatini: Bersani le tentò davvero tutte pur di ottenere la fiducia dei grillini. Riuscì a far eleggere Grasso al Senato proprio con i voti di alcuni grillini, che furono bollati come traditori, ma per quanto riguarda la questione della fiducia si trovò sempre contro ad un muro. Per questo motivo il segretario del PD non trovò altra soluzione che rivolgersi niente meno che.... al PDL di Berlusconi, l'uomo che a parole è ed è sempre stato il peggior nemico del PD, nonché la peggior sciagura dell'Italia intera. I tempi di "smacchiare il giaguaro" erano già andati, ora si cercava più di coccolarlo, proponendogli un Presidente della Repubblica a lui gradito, in cambio dell'agognata fiducia in Parlamento.
Ma il buon Bersani non poteva certo immaginare che, a questo punto, l'ultima insidia potesse arrivare internamente, proprio dal suo partito. E fu cosi che, di volta in volta, molti degli uomini interni al PD, i "franchi tiratori", votarono contro i nomi proposti da Bersani (si dice addirittura sotto previo consenso di tutti i parlamentari piddini), che alla fine, in lacrime, non poté fare altro che mettersi in ginocchio a chiedere a Napolitano di farsi rieleggere, tra un abbraccio ad Alfano ed una firma alla lettera di dimissioni di un dinosauro come Rosy Bindi, con la chiosa finale delle sue dimissioni da segretario del PD, certificando il fallimento suo e di tutto il Partito Democratico. Il fallimento di un'intera classe politica, incapace di rispondere ai problemi del Paese ed intenta più a galleggiare che a vincere le elezioni e governare, dando un colpo di grazia di volta in volta a quelle forze politiche che secondo i vari dirigenti del PD rappresentavano la rovina, la sciagura dell'Italia, ma a cui in più di un'occasione hanno teso una mano (o l'intero braccio).

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